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Ben sanno questi boschi quant’io amola,
Sannolo fiumi monti fiere ed uomini,
Ch’ognor piangendo e sospirando bramola.
Sallo quante fiate il dì la nomini
Il gregge mio, che già tutt’ore ascoltami,
O ch’egli in selva pasca, o in mandra romini.
Eco rimbomba, e spesso indietro voltami
Le voci che sì dolci in aria sonano,
E nell’orecchie il bel nome risoltami.
Quest’alberi di lei sempre ragionano,
E nelle scorze scritta la dimostrano,
Ch’a pianger spesso ed a cantar mi spronano:
Per lei li tori e gli arieti giostrano.


ANNOTAZIONI

all’Egloga Prima.


Ergasto mio, perchè solingo ec. Selvaggio ottimamente fa in Ergasto vedere uno che da null’altro pensiero è occupato, che da quello dell’amore. Qui è da notarsi la ragione, per cui il Sanazzaro volle usare i versi sdruccioli nelle sue Egloghe. L’umiltà del soggetto poetico debb’essere espressa con semplici idee, con facili parole, con versi scorrevoli e languidi anzi che sostenuti e gravi, e perchè tra gli scorrevoli e languidi sono certamente da noverarsi gli sdruccioli, questi piuttosto che i piani usò il Sanazzaro nelle sue pastorali poesie ogni volta, che qualche particolar ragione non l’obbligò a cambiarli, come in più opportuno luogo dimostreremo. Si osservi, che per questo medesimo fine Virgilio ne’ suoi versi buccolici adopera i dattili più frequente che mai. Sia d’esempio il principio dell’Egloga I.


Tilyre, tu patulae recubans sub tegmine fagi,
Sylvestrem tenui musam meditaris avena:
Nos patriae fines, et dulcia linquimus arva
ec.


Vedi que’ duo monton ec. Finge l’Autore, che sia la primavera, di cui ce ne dà ben tosto la descrizione dagli effetti, dicendo: