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signata fontana; la quale sì tosto come mi senti venire, cominciò forte a bollire, ed a gorgogliare più che il solito, quasi dir mi volesse: Io son colei, cui tu poco innanzi vedesti. Per la qual cosa girandomi io dalla destra mano, vidi e riconobbi il già detto colle, famoso molto per la bellezza dell’alto tugurio, che in esso si vede, denominato da quel gran bifolco Africano, rettore di tanti armenti, il quale a’ suoi tempi, quasi un altro Anfione, col suono della soave cornamusa edificò le eterne mura della divina cittade; e volendo io più oltre andare, trovai per sorte a piè della non alta salita Barcinio, e Summonzio, pastori fra le nostre selve notissimi, i quali con le loro gregge al tepido sole, perocchè vento facea, si erano ritirati, e, per quanto dai gesti comprendere si potea, mostravano di voler cantare. Onde io, benchè con le orecchie piene venissi de’ canti di Arcadia, pur per udire quelli del mio paese, e vedere in quanto loro si avvicinassero, non mi parve disdicevole il fermarmi, ed a tanto altro tempo per me sì malamente dispeso, questo breve spazio, questa picciola dimoranza ancora aggiungere. Così non molto discosto da loro, sovra la verde erba mi posi a giacere: alla qual cosa mi porse ancor animo il vedere, che da essi conosciuto non era; tanto il cangiato abito, e ’l soverchio dolore mi aveano in non molto lungo tempo trasfigurato. Ma rivolgendomi ora per la memoria il loro cantare, e con quali accenti i casi del misero Meliseo deplorassero, mi piace sommamente con attenzione averli uditi; non già per conferirli con quelli, che di là ascoltai, nè per porre