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furon coperte, ma questa, che d’innanzi ne vedemo, la quale senza alcun dubbio celebre città un tempo nei tuoi paesi chiamata Pompei, ed irrigata dalle onde del freddissimo Sarno, fu per subito terremoto inghiottita dalla ferra, mancandole, credo, sotto ai piedi il firmamento, ove fondata era. Strana per certo, ed orrenda maniera di morte, le genti vive vedersi in un punto torre dal numero de’ vivi! se non che finalmente sempre si arriva ad un termino, nè più in là, che alla morte, si puote andare. E già in queste parole eramo ben presso alla città, ch’ella dicea, della quale e le torri, e le case, e i teatri, e i templi si poteano quasi integri discernere. Maravigliami io del nostro veloce andare, che in sì breve spazio di tempo potessimo da Arcadia insino qui essere arrivati; ma si potea chiaramente conoscere, che da potenzia maggiore che umana eravamo sospinti: così appoco appoco cominciammo a vedere le picciole onde di Sebeto; di che vedendo la Ninfa che io mi allegrava, mandò fuore un gran sospiro, e tutta pietosa ver me volgendosi, mi disse: Omai per te puoi andare; e così detto, disparve, nè più si mostrò agli occhi miei. Rimasi io in quella solitudine tutto pauroso e tristo, e vedendomi senza la mia scorta, appena arei avuto animo di movere un passo, se non che dinanzi agli occhi mi vedea lo amato fiumicello. A! quale dopo breve spazio appressatomi, andava desideroso con gli occhi cercando, se veder potessi il principio, onde quell’acqua si movea; perchè di passo in passo il suo corso pareva che venisse crescendo, ed acquistando tuttavia maggior