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tato per offrire in un solo tratto le riflessioni su tutti i luoghi, ove cadono in acconcio. Talvolta il Sanazzaro frammischia gli sdruccioli co’ piani, come si può osservare nelle Egloghe i. ii. ix. e x.; ed io credo che ciò abbia egli fatto più per vaghezza di varietà che per alcun’altra cagione. Ma nell’Egl. iii., dove Galizio canta il giorno natale di Amaranta, della quale egli è fortemente innamorato, nella iv., dove Logisto, ed Elpino gareggiano cantando, nella v., dove Ergasto piange la morte di Androgéo, nella vii., dove Sincero non sa trovar quieta per l’amore che lo martira, finalmente in questa xi, dove Ergasto esprime il suo dolore per la morte di Massilia sua madre; non v’ha dubbio, ch’egli usa i soli piani per meglio e più fortemente esprimere le varie passioni, da cui sono commossi i pastori, ch’egli introduce a cantare.

Ricominciate, o muse, ec. Molto adatta è la replica che in quest’Egloga si fa di questo verso. Come negli Epitalami, ne’ Trionfi, ne’ Brindisi non rade volte si usa di questa maniera per vie meglio esprimere ed eccitare l’allegrezza, e la festa, così qui è usata da Ergasto per commuovere ognor più a pietà chi l’ascoltava per la morte della virtuosa e benevola Massilia.

La dotta Egeria ec. Ergasto paragona Massilia ad Egeria, ed a Manto. Egeria fu una Ninfa, con la quale, dicono, che Numa Pompilio di notte ragionando imparava da essa le leggi divine, con cui frenava la ferocità del Popolo Romano. Manto fu figliuola di Tiresia Tebano, e fu indovina. Costei, essendo Tebe ridotta in servitù, dopo molto aggirar per varj paesi, venne in Italia, dove di Tiberino, Dio del Tevere, partorì Ocno, ch’edificò Mantova, così chiamando questa città dal nome della madre.

O erbe, o fior ch’un tempo ec. Vedi l’Annotazione alla Prosa Decima: Adone, Jacinto, Ajace ec. pag. 146.

Felice Orfeo ec. Euridice essendo amata ardentemente da Aristeo, un giorno ch’egli si mise a seguirla, da lui fuggendo quanto più potè velocemente, fu punta in un piè da un aspide velenoso, che nell’erba era nascosto, di maniera che ne restò morta Orfeo, che similmente l’amava con gran fervore, confidato nella dolcezza di sua lira, ch’egli con gran melodia sonava, scese all’inferno per riaverla: dove placati gli Dei infernali, la riebbe, con patto, ch’ei non dovesse voltarsi a guardarla, finchè non fosse fuora. Ma non osservando il pasto, gli fu ritolta, e più non potè riaverla. Il Porcacchi. — Megera, una delle Furie infernali, figlie di Acheronte e della Notte. Radamanto, figliuolo di Giove e di Europa, fratello di Minosse, legislatore di Creta, o Candia. Narrasi, ch’egli regnò nella Licia. Fu giustissimo, e in con-