Non che sia degno da notarsi in carte;
Ma che sol resti qui tra questi faggi,
Così colmo d’amor, privo d’ogni arte.
Acciocchè in questi tronchi aspri e selvaggi
Leggan gli altri pastor che qui verranno,
I bei costumi e gli atti onesti e saggi.
E poi crescendo ognor più d’anno in anno,
Memoria sia di lei fra selve e monti,
Mentre erbe in terra, e stelle in ciel saranno.
Fiere uccelli spelunche alberi e fonti,
Uomini e Dei quel nome eccelso e santo
Esalteran con versi alteri e conti.
E perchè al fine alzar convienimi alquanto,
Lasciando il pastoral ruvido stile;
Ricominciate, muse, il vostro pianto.
Non fa per me più suono oscuro e vile,
Ma chiaro e bello, che dal ciel l’intenda
Quell’altera ben nata alma gentile.
Ella coi raggi suoi fin qui si stenda:
Ella aita mi porga; e mentre io parlo,
Spesso a vedermi per pietà discenda.
E se ’l suo stato è tal, che a dimostrarlo
La lingua manche; a se stessa mi scuse,
E m’insegne la via d’in carte ornarlo.
Ma tempo ancor verrà che l’alme muse
Saranno in pregio; e queste nebbie ed ombre
Dagli occhi de’ mortai fien tutte escluse.
Allor pur converrà ch’ognuno sgombre
Da se questi pensier terreni e loschi,
E di salde speranze il cor s’ingombre.
Ove so che parranno incolti e foschi
I versi miei; ma spero che lodati
Saran pur da’ pastori in questi boschi.
E molti che oggi qui non son pregiati,
Vedranno allor di fior vermigli e gialli
Descritti i nomi lor per mezzo i prati.