Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/206

176

EGLOGA UNDECIMA.

ergasto solo.


Poi che ’l soave stile, e ’l dolce canto
Sperar non lice più per questo bosco,
Ricominciate, o muse, il vostro pianto.
Piangi, colle sacrato, opaco e fosco;
E voi, cave spelunche e grotte oscure,
Ululando venite a pianger nosco.
Piangete, faggi, e quercie alpestri e dure:
E piangendo narrate a questi sassi
Le nostre lacrimose aspre venture.
Lacrimale voi, fiumi ignudi e cassi
D’ogni dolcezza; e voi, fontane e rivi,
Fermate il corso, e ritenete i passi.
E tu, che fra le selve occulta vivi,
Eco mesta, rispondi alle parole;
E quant’io parlo per li tronchi scrivi.
Piangete, valli abbandonate e sole;
E tu, terra, dipingi nel tuo manto
I gigli oscuri, e nere le viole.
La dotta Egeria, e la tebana Manto
Con subito furor morte n’ha tolta.
Ricominciate, muse, il vostro pianto.
E se tu, riva, udisti alcuna volta
Umani affetti, or prego ch’accompagni
La dolente sampogna a pianger volta.
O erbe, o fior, ch’un tempo eccelsi e magni
Re foste al mondo, ed or per aspra sorte
Giacete per li fiumi, e per li stagni;
Venite tutti meco a pregar morte,
Che, se esser può, finisca le mie doglie,
E le rincresca il mio gridar sì forte.