ria degli odoriferi roseti della bella Antiniana,
celebratissima Ninfa del mio gran Pontano. A
questa cogitazione ancora si aggiunse il ricordarmi
delle magnificenzie della mia nobile e generosissima
patria; la quale di tesori abbondevole,
e di ricco ed onorato popolo copiosa, oltra
al grande circuito delle belle mura, contiene
in se il mirabilissimo porto, universale albergo
di tutto il mondo; e con questo le alte
torri, i ricchi templi, i superbi palazzi, i grandi
ed onorati seggi de’ nostri patrizj, e le strade
piene di donne bellissime, e di leggiadri e
riguardevoli giovani. Che dirò io de’ giuochi,
delle feste, del sovente armeggiare, di tante
arti, di tanti studj, di tanti laudevoli esercizj?
che veramente non che una città, ma qualsivoglia
opulentissimo Regno ne sarebbe assai
convenevolmente adornato; e sopra tutto mi
piacque udirla commendare de’ studj della
eloquenza, e della divina altezza della poesia;
e tra le altre cose, delle merite lode del mio
virtuosissimo Caracciolo, non picciola gloria
delle volgari Muse; la canzone del quale, se
per lo coverto parlare fu poco da noi intesa,
non rimase però che con attenzione grandissima
non fosse da ciascuno ascoltata, altro che se
forse da Ergasto, il quale, mentre quel cantare
durò, in una fissa e lunga cogitazione vidi
profondamente occupato, con gli occhi sempre
fermati in quel sepolcro, senza moverli
punto, nè battere palpebra mai, a modo di
persona alienata; ed alle volte mandando fuori
alcune rare lacrime, e con le labbra non so
che fra se stesso tacitamente summormorando.
Ma finito il cantare, e da diversi in diversi