casse, per ornargli di freschi fiori i giovenili
capelli. Il quale poi da invidiosa morte sovraggiunto,
fe’ di quella l’ultimo dono al Mantoano
Titiro, e così col mancante spirto porgendogliela
gli disse: Tu sarai ora di questa il secondo
signore; con la quale potrai a tua posta
riconciliare li discordevoli tauri, rendendo graziosissimo
suono alli salvatichi Iddii. Per la qual
cosa Titiro lieto di tanto onore, con questa
medesima sampogna dilettandosi, insegnò primieramente
le selve di risonare il nome della
formosa Amarillida; e poi appresso lo ardere
del rustico Coridone per Alessi; e la emula contenzione
di Dameta, e di Menalca; e la dolcissima
musa di Damone, e di Alfesibeo, facendo
sovente per maraviglia dimenticare le
vacche di pascere, e le stupefatte fiere fermare
fra pastori, e i velocissimi fiumi arrestare dai
corsi loro, poco curando di rendere al mare il
solito tributo; aggiungendo a questo la morte
di Dafni, la canzone di Sileuo, e ’l Gero amore
di Gallo, con altre cose, di che le selve
credo ancora si ricordino, e ricorderanno mentre
nel mondo saranno pastori. Ma avendo costui
dalla natura lo ingegno a più alte cose disposto,
e non contentandosi di sì umile suono,
vi cangiò quella canna, che voi ora vi vedete
più grossa, e più che le altre nova, per poter
meglio cantare le cose maggiori, e fare le selve
degne degli altissimi Consoli di Roma: il
quale poichè, abbandonate le capre, si diede
ad ammaestrare i rustichi coltivatori della terra;
forse con isperanza di cantare appresso con
più sonora tromba le arme del Trojano Enea;
l’appiccò quivi, ove ora la vedete, in onore