tissimo e spazioso, ad un ramo del quale una
grande e bella sampogna pendeva, fatta di sette
voci, egualmente di sotto e di sopra congiunta
con bianca cera; la cui simile forse mai non
fu veduta a pastore in alcuna selva: della quale
dimandando noi qual fosse stato l’the autore
(perchè da divine mani composta ed incerata
la giudicavamo) il savio sacerdote così ne rispose:
Questa canna fu quella, che ’l santo Iddio,
che voi ora vedete, si trovò nelle mani,
quando per queste selve da amore spronato seguitò
la bella Siringa: ove, poi che per la subita
trasformazione di lei si vide schernito, sospirando
egli sovente per rimembranza delle
antiche fiamme, i sospiri si convertirono in
dolce suono: e così solo in questa sola grotta
assiso presso alle pascenti capre, cominciò a
congiungere con nova cera sette canne, l’ordine
delle quali veniva successivamente mancando,
in guisa che stanno i diti nelle nostre mani,
siccome ora in essa medesima vedere potete:
con la qual poi gran tempo pianse in questi
monti le sue sventure. Indi pervenne, e
non so come, nelle mani d’un pastore Siracusano;
il quale prima che alcuno altro ebbe ardire
di sonarla senza paura di Pan, o d’altro
Iddio, sovra le chiare onde della compatriota
Aretusa: ed è fama, che mentre costui cantava,
i circonstanti pini movendo le loro sommità
gli rispondeano; e le forestiere quercie dimenticate
della propria salvaticbezza abbandonavano
i nativi monti per udirlo, porgendo sovente
piacevoli ombre alle ascoltanti pecorelle:
nè era Ninfa alcuna, nè Fauno in quelle selve,
che di attrecciare ghirlande non si affati-