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e tale rimedio, ch’io spero, che, se a mie parole presterai fede, ne sarai lieto mentre vivrai. Ed a cui ne potresti gir tu, che più conforto porgere ti potesse, che al nostro Enareto? il quale sopra gli altri pastori dottissimo, abbandonati i suoi armenti, dimora nei sacrificj di Pan nostro Iddio: a cui la maggior parte delle cose e divine, ed umane è manifesta; la terra, il cielo, il mare, lo infatigabile sole, la crescente luna, tutte le stelle, di che il cielo si adorna, Pliadi, Iadi, e ’l veleno del fiero Orione, l’Orsa maggiore, e minore; e così per conseguente i tempi dell’arare, del mietere, di piantare le viti, e gli ulivi, d’innestare gli alberi, vestendogli di adottive frondi; similmente di governare le mellifere api, e ristorarle nel mondo, se estinte fossero, col putrefatto sangue degli affogali vitelli. Oltra di ciò, quel, che più maraviglioso è a dire, ed a credersi, dormendo egli in mezzo delle sue vacche nella oscura notte, duo dragoni gli leccarono le orecchie; onde egli subitamente per paura destatosi, intese presso all’alba chiaramente tutti i linguaggi degli uccelli. E fra gli altri udì un luscigniuolo, che cantando, o più tosto piangendo sovra i rami d’un folto corbezzolo, si lamentava del suo amore, dimandando alle circostanti selve aita: a cui un passero all’incontro rispondea, in Leucadia essere un’alta ripa, che chi da quella nel mare saltasse, sarebbe senza lesione fuor di pena: al quale soggiunse una lodola, dicendo, in una terra di Grecia, della quale io ora non so il nome, essere il fonte di Cupidine, del quale chiunque beve, depone subitamente ogni suo amore; a cui il