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naturalmente di querciuole, cerretti, suberi, lentischi, saligastri, e di altre maniere di salvatichi arboscelli, era sì da ogni parte richiuso, che da nessuno altro luogo, che dal proprio varco vi si potea passare; tal che per le folte ombre de’ fronzuti rami, non che allora, che notte era, ma appena quando il sole fosse stato più alto, se ne sarebbe potuto vedere il cielo. Ove alquanto discosto dalle vacche, in un lato della picciola valle le nostre pecore, e le capre restringemmo, come sapemmo divisare il meglio. E perchè gli usati focili per caso portati non aveamo; Ergasto, il quale era più che gli altri esperto, ebbe subitamente ricorso a quello, che la comodità gli offeriva; e preso un legno di edera, ed un di alloro, e quelli insieme per buono spazio fregando, cacciò del foco; dal quale poi che ebbe per diversi luoghi accese di moite fiaccole, chi si diede a mungere, chi a racconciare la guasta sampogna, chi a saldare la non stagna fiasca, e chi a fare un mestiere, e chi un altro, insino che la desiata cena si apparecchiasse; la quale poi che con assai diletto di tutti fu compita, ciascuno, perchè molta parte della notte passata era, si andò a dormire. Ma venuto il chiaro giorno, e i raggi del sole apparendo nelle sommità di alti monti, non essendo ancora le lucide gotte della fresca brina riseccate nelle tenere erbe, cacciammo dal chiuso vallone li nostri greggi e gli armenti a pascere nelle verdi campagne. E drizzatine per un fuor di strada al cammino del monte Menalo, che non guari lontano ne stava, con proponimento di visitare il reverendo tempio di Pan, presentissimo