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Lasso, che ’n ciò pensando ogn’ora spasimo:
Sarà mai dì ch’io possa dir fra’ liberi:
Mercè del ciel, dal gran periglio evasimo?

Eugenio.

Di state secchi pria mirti e giuniberi,
E i fior vedrò di verno al ghiaccio sorgere,
Che tu mai impetri quel che in van deliberi.
Se amore è cieco, non può il vero scorgere:
Chi prende il cieco in guida, mal consigliasi:
Se ignudo; uom che non ha, come può porgere?
Questa vita mortale al dì somigliasi;
Il qual, poi che si vede giunto al termine,
Pien di scorno all’occaso rinvermigliasi.
Così, quando vecchiezza avvien che termine
I mal spesi anni che sì ratti volano,
Vergogna e duo! convien ch’al cor si germine.
A che le menti cieche si consolano,
Se nostri affanni un fumo al fin diventano,
E l’ore ladre i nostri beni involano?
Dunque è ben tempo omai che si risentano
Gli spirti tuoi sepolti anzi l’esequie
Nel fango; onde convien ch’alfin si pentano.
E s’a te stesso non dai qualche requie,
Che spene aran gli strani? e se ’l cor misero
Non può gioir, ragion è ben che arrequie.
Quante fiate del tuo error sorrisero
I monti e i fiumi! e se ’l tuo duol compunseli,
Quei corser per pietà, questi s’assisero.

Clonico.

O felici color che amor congiunseli
In vita e ’n ìnorte in un voler non vario,
Nè invìdia o gelosia già mai disgiunseli!
Sovra un grand’olmo jersera e solitario
Due tortorelle vidi il nido farnosi;
Ed a me solo è il ciel tanto contrario.