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Voi, Arcadi, ec. Anche ciò è imitato da Virgilio nell’Egl. x.


. . . . . . cantabitis, Arcades, inquit,
Montibus haec vestris: soli cantare periti
Arcades. O mihi tum quam molliter ossa quiescant,
Vestra meos olim. si fistula dicat amores!


A guisa che suole il candido cigno ec. Comechè i filosofi neghino tutto ciò che i Poeti narrano del soavissimo cantare del cigno, e della cognizione ch’egli ha della prossima sua morte, nondimeno spessissimo hanno giovato queste invenzioni, come tutte le altre della mitologia, ad esprimere e ad abbellire i poetici concetti. Qui di fatto pare che il nostro Sanazzaro abbia imitato Marziale nell’Epigr. 77 del Lib. xiii.


Dulcia defeda modulatur carmina lingua.
Cantatur Cycnus funeris ipse sui.


La risonante Ecco. Ovidio dice nel Lib. iii. delle Metam., che Ecco, o Eco, fu una Ninfa, che pel dolore di non essere riamata da Narciso bellissimo giovane divenne pietra, null’altro ritenendo di umano che la voce, la quale si ode ogni volta, che alcuno gridi, o favelli.

O Najadi ec. Le Ninfe, figliuole dell’Oceano e di Teti, erano divinità terrestri, e se non erano immortali, come le deità celesti, godevano però d’una vita straordinariamente lunga. Secondo il luogo o le cose, a cui presiedevano, variamente venivano appellate. Quindi le Najadi eran le Ninfe de fiumi, le Driadi delle selve, le Amadriadi d’ogni speziale albero, le Oreadi de’ monti, le Napee de’ pascoli, e de’ fiori, le Limmadi degli stagni, le Nereidi del mare, le Efidriadi de’ fonti.