Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/123


93

avrai di vedermi fastidio. Ma certo io spero che ’l tuo cuore, il quale la mia lieta fortuna non ha potuto muovere, la misera il piegherà; e tardi divenuta pietosa, sarai costretta a forza di biasmare la tua durezza, desiderando almeno morto di veder colui, a cui vivo non hai voluto di una sola parola piacere. Oimè, e come può essere, che ’l lungo amore, il quale un tempo son certo mi portasti, sia ora in tutto da te fuggito? Deh non ti tornano a mente i dolci giuochi della nostra puerizia? quando insieme andavamo per le selve cogliendo le rubiconde fragole, e dagli alti faggi le saporose ghiande, e le tenere castagne dalle pungenti scorze? Seiti dimenticata tu de’ primi gigli, e e delle prime rose, le quali io sempre dalle cercate campagne ti portava? tal che appena le api aveano gustato ancora i fiori, quando tu per me andavi ornata di mille corone. Lasso, quante fiate allora mi giurasti per gli alti Dii, che quando senza me dimoravi, i fiori non ti olivano, e i fonti non li rendevano il solito sapore? Ahi dolorosa la vita mia! e che parlo io? e chi mi ascolta, altro che la risonante Ecco? la quale credente a’ miei mali, siccome quella, che altra volta provati gli ha, mi risponde pietosa, mormorando al suono degli accenti miei: ma non so pure ove nascosa si stia: che non viene ella ora ad accompagnarsi meco? O Iddii del cielo, e della terra, e qualunque altri avete cura de’ miseri amanti, porgete, vi prego, pietose orecchie al mio lamentare, e le dolenti voci, che la tormentata anima manda fuori, ascoltate. O Najadi, abitatrici de’ correnti fiumi; o Napee, graziosissima