non potermi scoprire intollerabile noja portava
nell’animo, quasi con le lacrime in su gli occhi
le rispondea, alla mia lingua non essere licito
di nominare colei, cui io per mia celeste
deità adorava; ma che dipinta la sua bellissima
e divina immagine, quando comodo stato mi
fosse, le avrei dimostrata. Ed avendola con cotali
parole molti e molti giorni tenuta, avvenne
una volta che dopo molto uccellare, essendo
io ed ella soletti, e dagli altri pastori rimoti,
in una valle ombrosa, tra il canto di forse
cento varietà di belli uccelli, i quali di loro
accenti facevano tutto quel luogo risonare,
quelle medesime note le selve iterando, che
essi esprimevano; ne ponemmo ambeduo a sedere
alla margine d’un fresco e limpidissimo
fonte, che in quella sorgea: il quale nè da uccello,
nè da fiera turbato, sì bella la sua chiarezza
nel selvatico luogo conservava, che non
altrimenti, che se di purissimo cristallo stato
fosse, i secreti del trauslucido fondo manifestava:
e d’intorno a quello non si vedea di pastori,
nè di capre pedata alcuna; perciocchè
armenti giammai non vi soleano per riverenza
delle Ninfe accostare: nè vi era quel giorno
ramo, nè fronda veruna caduta da’ sovrastanti
alberi; ma quietissimo senza mormorio, o rivoluzione
di bruttezza alcuna discorrendo per
lo erboso paese, andava sì pianamente, che appena
avresti creduto che si movesse. Ove poi
che alquanto avemmo refrigerato il caldo, ella
con novi preghi mi ricominciò da capo a stringere,
e scongiurare per lo amore, che io le
portava, che la promessa effigie le mostrassi;
aggiungendo a questo col testimonio degli Dii