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disavvedutamente davano il petto negli tesi inganni, ed in quelli inviluppati, quasi in più sacculi, diversamente pendevano. Ma al fine veggendo la preda essere bastevole, allentavamo appoco appoco i capi delle maestre funi, quelli calando; ove quali trovati piangere, quali semivivi giacere, in tanta copia ne abbondavano, che molte volte fastiditi di ucciderli, e non avendo luogo ove tanti ne porre, confusamente con le mal piegate reti ne li portavamo insino agli usati alberghi. Altra fiata, quando nel fruttifero Autunno le folle caterve di storni volando in drappello raccolte si mostrano a’ riguardanti quasi una rotonda palla nell’aria, ne ingegnavamo di avere due o tre di quelli, la qual cosa di leggiero si potea trovare, ai piedi de’ quali un capo di spaghetto sottilissimo unto d’indissolubile visco legavamo, lungo tanto quanto ciascuno il suo potea portare, e quindi, come la volante schiera verso noi si approssimava, così li lasciavamo in loro libertà andare: li quali subitamente a’ compagni fuggendo, e fra quelli, siccome è lor natura, mescolandosi, conveniva che a forza con lo inviscato canape una gran parte della ristretta moltitudine ne tirassero seco. Per la qual cosa i miseri, sentendosi a basso tirare, ed ignorando la cagione, che il volare loro impediva, gridavano fortissimamente, empiendo l’aria di dolorose voci; e di passo in passo per le late campagne ne gli vedeamo dinanzi a’ piedi cadere; onde rara era quella volta, che con li sacchi colmi di caccia non ne tornassimo alle nostre case. Ricordami avere ancora non poche volte riso de’ casi della male augurata cornice; ed udite