insieme ne dimesticammo, e, secondo che vollero
gli Dii, tanto ne trovammo nei costumi
conformi, che uno amore, ed una tenerezza sì
grande ne nacque fra noi, che mai nè l’uno
nè l’altro conosceva piacere, nè diletto, se non
tanto quanto insieme eravamo. Noi parimente
nei boschi di opportuni instrumenti armati alla
dilettosa caccia andavamo; nè mai dalli cercati
luoghi carichi di preda tornavamo, che prima,
che quella tra noi divisa fosse, gli altari della
santa Dea non avessimo con debiti onori visitati,
ed accumulati di larghi doni, offerendole
ora la fiera testa del setoso cinghiale, ed ora
le arboree corna del vivace cervo, sovra gli alti
pini appiccandole. Ma come che di ogni caccia
prendessimo sommamente piacere, quella delli
semplici, ed innocenti uccelli oltra a tutte ne
dilettava; perocchè con più sollazzo, e con assai
meno fatica che nessuna dell’altre si potea
continuare. Noi alcuna volta in sul fare del
giorno, quando appena sparite le stelle, per lo
vicino sole vedevamo l’oriente tra vermigli nuvoletti
rosseggiare, n’andavamo in qualche valle
lontana dal conversare delle genti, e quivi
fra duo altissimi, e dritti alberi tendevamo la
ampia rete, la quale sottilissima tanto, che
appena tra le frondi scernere si potea, aragne
per nome chiamavamo, e questa ben maestrevolmente,
come si bisogna, ordinata, ne moveamo
dalle remote parti del bosco, facendo
con le mani rumori spaventevoli, e con bastoni,
e con pietre di passo in passo battendo le
macchie verso quella parte, ove la rete stava,
i tordi, le merule, e gli altri uccelli sgridavamo:
li quali dinanzi a noi paurosi fuggendo,