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l'arcipelago di figii. | 87 |
i rottami lacerassero le piante dei piedi agli assalitori, i quali ignorano affatto l’uso delle calzature.
Ciò fatto, attese tranquillamente l’alba.
Di mano in mano che il cielo si rischiarava, il vento scemava di violenza e il mare si calmava. Le onde s’infrangevano sempre furiosamente attorno allo strato d’olio e attorno ai banchi, ma al largo si vedevano correre con minor velocità e non più elevarsi a grande altezza.
Fra poche ore l’uragano doveva calmarsi del tutto, cosa che se da un lato era desiderata dal capitano che temeva per la sua nave quella continua ondulazione, dall’altro tornava svantaggiosa all’equipaggio, perchè i selvaggi non avrebbero mancato di approfittare della calma per mettere in mare le loro imbarcazioni.
Alle cinque un fascio di raggi solari, passando fra uno strappo delle nubi, illuminò il mare e l’isola, la quale apparve tutta intera, coi suoi picchi elevati, colle sue foreste, colle sue valli verdeggianti e le sue baie.
Fu con una certa emozione che l’equipaggio della nave arenata scorse, aggruppati confusamente sulla spiaggia più vicina, un centinaio di selvaggi armati di lance e di pesanti mazze.
Quegli uomini erano di color nero per lo più, di statura alta e bene proporzionata, con una capigliatura folta e cresputa.
Alcuni portavano turbanti adorni di conchiglie e di pezzetti di denti di balena, distintivo speciale dei capi o dei guerrieri famosi, tutti però avevano i fianchi stretti da una striscia di stoffa, le cui estremità ricadevano davanti. Dalla lunghezza di queste estremità si distinguono i personaggi più importanti, e si dice che solo i re ed i grandi capi abbiano il diritto di lasciarle cadere fino a terra. In mezzo a quel gruppo, il capitano distinse anche alcune