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32 | capitolo terzo. |
— Eppure qualcuno poteva essersi salvato e potrebbe vivere...
— Ciò non è impossibile; forse qualche mozzo potrebbe essere ancora vivo.
— Disgraziati!... — mormorò Anna. — Chi sa quanti saranno caduti sotto i denti degli antropofagi.
— Molti senza dubbio, poichè gl’isolani di Vanikoro hanno pessima fama.
— Sono molto feroci?
— Molto, Arma.
— Ma come possono aver vinto i marinai di La Perouse armati di fucili e di cannoni?
— Colle frecce avvelenate.
— Conoscono i veleni quei mostri?
— Sì, e quello che adoperano non perdona, poichè chi è toccato da una delle loro frecce muore dopo tre giorni di agonia atroce, senza che alcun rimedio lo possa salvare.
— Hanno anche delle lance.
— Sì, ma la punta non è di ferro, non possedendo essi tale metallo, ma di schegge d’ossa umane che estraggono dai cadaveri che mettono a macerare per alcune settimane nell’acqua marina.
— Che abbominevoli selvaggi! Padre mio. Non vorrei cadere nelle loro mani.
— Bah!... Abbiamo un equipaggio scelto ed affezionato, una buona nave e armi in tal quantità da tener fronte a mille polinesiani riuniti. —
In quell’istante si udì nella stiva un orribile concerto che scosse l’intero vascello, facendo trabalzare i marinai. Lo stesso capitano, non ostante il suo provato coraggio impallidì, e la sua destra corse al calcio della pistola che portava sempre alla cintura.