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il naufrago. | 19 |
d’interrogarlo sull’esito di quel colloquio. Appena seppe di che si trattava, l’anima generosa di lei non ebbe che un solo pensiero: salvare i disgraziati minacciati dagli implacabili denti degli antropofagi.
— Lo farai, padre mio? — chiese la coraggiosa giovanetta.
— Sì, figlia, — rispose il capitano, — noi andremo a liberare quei poveri marinai.
— Le conosci tu quelle isole?
— Le ho vedute una sola volta e mi è bastato per giudicarle.
— Forse sono abitate da selvaggi feroci?
— Da antropofagi e dei più terribili, figlia mia, poichè vanno pazzi per la carne umana, che dicono che somiglia, per sapore, a quella dei migliori maiali.
— Hai perduto dei marinai, forse?
— Ne ho veduti tre cadere sotto le mazze di quei feroci mangiatori, mentre stavano preparando il trepang a poche centinaia di metri dal mio vascello.
— E sono stati mangiati?
— Abbiamo trovato i loro scheletri il giorno appresso, all’entrata di un villaggio disabitato.
— E resisteranno i disgraziati compagni del naufrago?
— Lo spero, Anna, poichè quel Bill Hobbart mi ha detto che sono armati ed i selvaggi hanno una gran paura delle armi da fuoco.
— E sono molto lontane queste isole?
— Fra sei o sette giorni vi possiamo giungere, se la tempesta non ci spinge troppo verso l’est.
— Voglia il cielo che noi ritroviamo quei disgraziati ancora vivi!
— Speriamolo, figlia mia. Orsù, ritorna nella tua cabina che in coperta non si può rimanere senza pericolo.