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224 capitolo ventesimoquinto.


— Sono io, mastro Brown! — esclamò Hill, uscendo dal bosco. — Mi riconosci?...

Il forzato nel vedere il capitano della Nuova Georgia che credeva ormai morto o molto lontano, retrocesse bruscamente e lo guardò con due occhi che parevano quelli d’un pazzo.

— I morti ritornano! — balbettò.

— Sì, ma per appiccarvi tutti!...

— E cosa volete? — chiese il miserabile, pallido come un morto.

— Appiccarvi tutti!... — risposero i naufraghi, uscendo dalle macchie.

— Prima vi bisogna il nostro permesso — gridò una voce beffarda.

Mac Bjorn, l’antipatico luogotenente di Bill, era comparso sul limitare della caverna e guardava sogghignando, con una insolente bravata, gli ultimi superstiti dell’incendio e dell’assalto spaventevole delle tigri.

— Mille folgori! — riprese egli. — Bisogna dire che avete la pelle dura, capitano, per trovarvi qui ancora in ottima salute; ma vi accerto che è dura anche la nostra e che la cravatta di canapa che dovrebbe appiccarci non è ancora stata filata. Orsù, in ritirata, Brown, e bada alle palle!... —

Il pilota e Fulton, furiosi per l’insolenza e l’ironia di quel furfante, fecero fuoco, ma il forzato con un balzo si rifugiò nella caverna, seguíto subito da Brown.

— Vi prenderemo, state certi! — gridò Collin. — Orsù, a posto di combattimento!... —

Tre o quattro colpi di fucile partirono dalla caverna, ma il tenente ed il capitano avevano avuto tempo di ripararsi dietro ai tronchi dei fichi banani. I selvaggi udendo quelle fucilate, emisero spaventevoli vociferazioni e risposero con una nube di frecce, ma senza