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il naufrago. 17


— Un compagno di sventura.

— Che poi avete assassinato.

— Io!... — esclamò il naufrago impallidendo e stringendo i pugni.

— Vi ho veduti poco fa coi coltelli in mano, lottare come due tigri sulla vostra zattera.

— È vero, ma fu primo l’indiano a gettarsi addosso a me.

— Per qual motivo?

— La zattera stava per affondare sotto il nostro peso, avendo le onde strappate quasi tutte le tavole. Sangor allora, cieco di paura, cercò disfarsi di me sperando di salvarsi, ma nella lotta ebbe la peggio, poichè cadde in mare.

— È proprio vero quello che mi dite?

— Lo giuro, — disse il naufrago.

— Ma come vi trovavate in pieno oceano, su quella zattera?

— Appartengo all’equipaggio di una nave naufragata due mesi fa presso le isole Figii.

— Come si chiamava quella nave?

— Il Tamigi.

— Una nave inglese forse?

— Sissignore.

— E vi eravate salvati voi due soli?

— No, — rispose il naufrago nel cui sguardo brillò uno strano lampo. — Alle Figii vi sono altri sette compagni, che attendono di venire salvati.

— Avevano mandato voi in cerca di aiuto? — chiese il capitano.

— Sissignore.

— In quali condizioni si trovano?

— Disperate, poichè li avevo lasciati mezzo morti di fame e alle prese con gli antropofagi.