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220 | capitolo ventesimoquinto. |
La spedizione discese il versante opposto della montagna, aprendosi il passo a colpi di scure, attraverso i fitti boschi; discese in una valle stretta, ombreggiata da un numero infinito di banani che si piegavano sotto il peso dei loro giganteschi grappoli, e interrotta qua e là da piantagioni di canne di zucchero.
Paowang si orizzontò col vulcano, il cui cratere vomitava sempre fiamme, fumo e pezzi di rocce ardenti, quindi condusse la truppa attraverso alle piantagioni per rimontare una collina.
— Sono vicini al vulcano i miei nemici? — chiese Collin, raggiungendo la guida.
— A poca distanza — rispose l’isolano.
— Allora non accampano sulla spiaggia.
— Il mare è lontano dalla caverna che essi abitano.
— E perchè si sono così allontanati?
— Perchè quella costa è quasi priva di alberi. Devono essersi allontanati per trovare un grosso tronco da scavare.
— Comprendo — rispose Collin. — Meglio per noi e peggio per loro. Bada però, Paowang, che se ci scoprono fuggiranno nei boschi.
— Ci avvicineremo con prudenza, capo. Quando ci vedranno saranno ormai circondati.
— È isolata la loro caverna?
— Si trova ai piedi di una collinetta.
— È boscosa l’altura?
— Solamente il versante opposto.
Alle otto del mattino, dopo una marcia di tre ore, salendo e scendendo colline e attraversando vallate e burroni, Paowang si arrestò ai piedi del vulcano.
— Ci siamo? — chiese Collin.