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la banda di bill. 219


di pietra, di archi, erano schierati dinanzi alla capanna coi loro capi alla testa.

— Partiamo, — disse il capitano abbracciando Anna. — Non temere, figlia mia, che torneremo tutti sani e salvi. Il nostro numero è tale da costringere i forzati alla resa, senza bruciare molta polvere.

— Sii prudente, padre mio, — disse la giovanetta commossa. — Non ho che te sulla terra, e se tu venissi ucciso, non so cosa accadrebbe di me, abbandonata su quest’isola, fra degli antropofagi.

— Ci saremo noi, miss, — rispose Collin. — Coi nostri petti faremo scudo al padre vostro.

— Non vi sarà bisogno, tenente, — disse il capitano. — I forzati non opporranno molta resistenza.

— Koturè! — gridò Collin.

Il selvaggio si fece innanzi.

— Lascio questa donna sotto la tua protezione, — gli disse il re. — Bada che è più preziosa del mio trono, e ti avverto che se ella avrà da lagnarsi di te o dei tuoi, faccio tuonare il cannone sul vostro villaggio e lo distruggo da cima a fondo.

— Per toccarla bisognerà che mi uccidano, — rispose il selvaggio. — Questa donna è tabù (cioè: sacra, inviolabile).

— Sta bene; partiamo! —

Il capitano abbracciò un’ultima volta Anna, e la schiera lasciò il villaggio, accompagnata per qualche tratto dalla rimanente popolazione.

Paowang col fratello, e dodici dei più valenti guerrieri, aprivano la marcia; dietro veniva il piccolo drappello degli uomini bianchi, poi tutti gli altri disposti su una doppia fila. Il cannoncino, portato a braccia da quattro uomini che si scambiavano ogni tratto, veniva ultimo.