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il re bianco. 209


— Sì, sono io, mio capitano, — gridò il re precipitandosi nelle braccia di Hill e stringendo poi ardentemente la mano alla giovanetta, ad Asthor e ai marinai.

— Ma come siete qui, Collin?... — chiese il capitano che non si era ancora rimesso dallo stupore e che parevagli ancora di sognare.

— Ma non siete annegato? — domandò Anna che piangeva dalla gioia. — Ah! Credevo di non rivedervi mai più!

— Ve lo dirò dopo. Entrate nella mia regale dimora e lasciate che rimandi a casa questa popolazione chiassosa e impertinente. —

Prese Anna per una mano, e introducendola nella capanna le disse galantemente:

— Permettete, miss, che vi offra il mio seggio reale. Gli altri si contenteranno delle stuoie, non possedendo io altre sedie.

— Grazie, signor Collin, — rispose Anna sorridendo. — Accetto di cuore, quantunque sia il trono d’un antropofago.

— Non ancora, miss, ve lo assicuro. Durante il mio breve regno non si è mangiato nemmeno una costoletta umana nella mia capanna, anzi, in tutto il mio villaggio... almeno lo spero. Entrate, capitano; avanti, amici, e accomodatevi come meglio potete. —

Con un gesto imperioso congedò la popolazione intimando il più assoluto silenzio, fece disporre la sua guardia d’onore intorno alla capanna per non venir disturbato, e raggiunse i suoi amici che si erano accomodati in una vasta stanza, ossia nella sala del trono, poichè nel mezzo si trovava una specie di sgabello tappezzato di stuoie, lavoro del re senza dubbio, non conoscendo l’uso delle sedie gli isolani dell’Oceano Pacifico.

— Prima di cominciare la mia storia, — disse Collin, — lasciate che vi offra tutto ciò che produce la reale cucina; poche cose, davvero, ma non tanto cattive. —