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206 capitolo ventesimoterzo.


— Ti condurrò, — rispose l’isolano.

Essendosi in quel frattempo calmato il mare, ritiratasi la marea, il capitano, Anna e i marinai decisero di riguadagnare la nave per passare colà la notte. Il selvaggio dopo di aver un po’ esitato, li seguì.

La sua meraviglia cresceva ad ogni istante nel vedere i diversi oggetti che ingombravano il ponte e nel mirare la profondità della stiva. Manifestava la sua gioia con frequenti strofinamenti di naso, non risparmiando nè quello del capitano nè quello di Anna. Quello di Asthor era diventato rosso come una peonia chinese, poichè il selvaggio preferiva sopra tutti, il naso grosso del vecchio pilota.

Dopo una notte tranquilla, durante la quale il vulcano continuò a eruttare mettendo sordi boati, che si potevano udire a venti miglia di distanza, i naufraghi e il selvaggio lasciavano la nave per recarsi al villaggio del re bianco.

Armatisi tutti, s’inoltrarono sotto i grandi boschi salendo una grande montagna coperta da fitti alberi. Raggiunta la cresta dopo molte fermate per dare riposo ad Anna ed una marcia di tre ore, si trovarono improvvisamente dinanzi a un villaggio, composto da una sessantina di capanne difese tutte all’ingiro da siepi di spine. Nel mezzo si elevava una abitazione più vasta, più regolare, a due tetti spioventi e che pareva costruita di recente. Si capiva a prima vista che nella costruzione doveva aver avuto parte la mano di un europeo.

La popolazione, composta di tre o quattrocento individui fra uomini, donne e ragazzi, uscì in massa incontro agli stranieri; ma Koturè respinse tutti con vigorosi colpi di bastone, senza badare dove cadevano.