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198 | capitolo ventesimosecondo. |
Come si sa, queste noci sono tanto dure, che anche l’uomo si troverebbe imbarazzato ad aprirle senza una scure, ma il granchio ladro non per questo si sgomenta. Essendo dotato di potenti morse, ne introduce una nel punto che si chiama occhio della buccia, e girando su se stesso la rompe pezzetto per pezzetto, bevendo poi avidamente il latte e mangiandosi la polpa bianca e delicata.
Si dice che uniscano al cocco anche la noce oleosa del pandanus per renderla più delicata, ma non sappiamo se ciò sia veramente esatto, quantunque tutti gli isolani lo confermino.
Asthor ed i marinai, dopo di aver osservato con curiosità quel grosso crostaceo, raccolsero parecchie bracciate di legna secche, accesero sulla spiaggia un gran fuoco capace di arrostire un bue, e lo gettarono sui carboni.
Mentre si cuoceva, Asthor e Grinnell si cacciarono nel bosco per far raccolta di frutta. Posero mano alle scuri e si misero ad abbattere un banano che aveva un grappolo di frutta del peso di cinquanta o sessanta chilogrammi. Non contenti, fecero un’ampia provvista di fichi, di yambos, frutta grosse come le pere d’Europa, tenere come il burro e rinfrescanti, e di grosse mandorle e di magnagne, grosse radici, dolci, farinose, che si cuociono sotto la cenere.
Stavano per ritornare, quando videro una specie di gallo, alto circa quaranta centimetri, colle gambe armate di sproni, il becco rosso, lungo e robusto, gli occhi grandi e neri e le penne bigie e rosse. Saltellava sotto l’albero rizzando il suo ciuffo biancastro e cacciando degli acuti ka-ha, ka-hu!...
— È un kagù — disse Asthor. — Un arrosto eccellente, che merita un colpo di fucile.
— Prendiamolo, pilota — disse Grinnell.