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il naufragio. 195


— Una lingua di terra lasciata scoperta dalla bassa marea si spinge fino sotto la poppa della nave — disse Fulton. — Lo sbarco è facilissimo.

Si armarono tutti delle carabine, si misero alla cintola una scure, si empirono le tasche di polvere e di palle, raccolsero dei viveri, e calata una scala di corda, scesero sulla lingua di terra che la bassa marea aveva lasciata scoperta.

Non ostante che le ondate di tratto in tratto l’attraversassero, dopo pochi minuti i sei naufraghi della Nuova Georgia mettevano piede sull’isola, dinanzi ai grandi boschi.

Il luogo non poteva essere più pittoresco. Dinanzi a loro una moltitudine di alberi, d’ogni specie e d’ogni dimensione, si estendeva a perdita d’occhio, coprendo interamente la costa.

Si vedevano enormi banian, alberi venerati dagli abitanti dell’India, sorretti da centinaia di tronchi disposti come tante colonne; bellissime piante di noci di cocco che si piegavano sotto il peso delle frutta; vecchi fichi coi tronchi nodosi e lucenti, che mostravano certe frutta lanuginose; dei catappa, specie di mandorli che danno nocciuole due volte più grosse di quelle d’Europa e più delicate, e bellissimi banani, le cui foglie gigantesche dovevano spandere un’ombra deliziosa, durante le ore più calde della giornata.

Un numero infinito di colombi, di pappagalli neri o con penne variopinte e di uccelletti, garrivano in mezzo ai rami, senza spaventarsi della comparsa di quegli uomini, che certo dovevano forse vedere per la prima volta.

— È un vero Eden — disse Anna che aspirava l’aria profumata di quei boschi, sotto i quali crescevano in gran numero bellissimi fiori cremisini. — Che disgrazia che questo paradiso terrestre sia abitato da mostruosi mangiatori di carne umana!