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il naufragio. 193


Alle tre del mattino non era più che a due gomene dall’isola. Il capitano che osservava attentamente le onde per indovinare se il fondo era cosparso di rocce o di punte corallifere, gridò ad un tratto:

— Giù le áncore!...

Mariland, Fulton e Grinnell strapparono le funicelle e le due ancore precipitarono nell’acqua, facendo sparire rapidamente le catene attraverso alle cubie di prua. La nave filò innanzi per alcuni metri, poi si arrestò bruscamente virando di bordo. Quasi nell’istesso momento un urto violentissimo avveniva a poppa, facendo stramazzare sul ponte l’intero equipaggio.

— Abbiamo toccato? — chiese Asthor risollevandosi lestamente.

— La poppa si è arenata! — gridò il capitano.

— Nulla di rotto?

— Non mi pare — rispose Grinnell, che erasi precipitato sul cassero.

— Ma l’acqua entra! — gridò Fulton.

— Dove? — chiese il capitano.

— La sento precipitare nella cala.

— Che una punta rocciosa abbia sfondata la carena? — chiese Asthor.

— È possibile — rispose il capitano. — Ma non importa; siamo su di un banco.

L’oceano, sollevato furiosamente dal vento, non faceva segno di cessare. Enormi ondate assalivano da prua la Nuova Georgia, passando sopra le murate e il castello e rompendosi in coperta. Gli ombrinali erano insufficienti a sfogarla, e correndo verso poppa precipitava nella profondità della stiva col fragore di una cateratta.

La povera nave si agitava sotto quei colpi vigorosi e continui, scricchiolava e a poco a poco veniva respinta sempre più verso la