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148 capitolo decimosesto.


— Vi dico che non mi spoglierete! — urlò con voce furente.

— Una parola, signore — disse una voce.

Il capitano Hill si volse e si trovò dinanzi al magro Mac Bjorn, il quale era sgusciato fra i marinai schierati presso l’albero di maestra, per tenere a bada gli altri naufraghi.

— Cosa vuoi tu? — gli chiese il capitano ruvidamente. — Il tuo posto non è qui.

— Permettete che dica una parola in favore del mio camerata.

— E che?... Pretenderesti d’impedire la punizione?

— Non ho questa pretesa, signore — rispose l’uomo allampanato, inchinandosi umilmente. — Ma vi pregherei di non far somministrare i venti colpi di gatto a nove code sulle spalle di quel disgraziato.

— E il motivo?

— Perchè due mesi sono quel povero diavolo si è fratturata una spalla, e capirete...

— Ho capito più del bisogno, Mac Bjorn — disse il capitano ironicamente.

— Olà, amici, impadronitevi anche di questo scheletro vivente.

— Ma... signore! — esclamò Mac Bjorn impallidendo. — Volete accopparmi a colpi di gatto?...

— No, ma voglio vedere anche le tue spalle. Spicciatevi, nudate le spalle di questi uomini! —

I marinai stavano per obbedire quando improvvisamente si udì una voce gridare:

— Al fuoco!... Al fuoco!...

Un fulmine che fosse scoppiato fra l’equipaggio, non avrebbe prodotto un effetto maggiore di quel grido, lanciato in quel momento.

— Al fuoco! — ripetè la voce di prima.