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144 | capitolo decimoquinto. |
al naufrago e lo curvò con forza irresistibile, facendolo stramazzare sul ponte.
Vedendo cadere il loro compagno, i naufraghi che erano sdraiati sul castello di prua, aspettando con calma affettata la fine di quel colloquio tempestoso, si erano alzati di scatto colle fronti aggrottate; ma Asthor con un fischio radunò l’equipaggio onde si tenesse pronto a respingere qualunque mossa offensiva.
— Uccidetemi pure se vi accomoda, o meglio assassinatemi, — disse Bill con fredda ironia, senza fare un gesto per rialzarsi.
— No, furfante, — rispose il capitano furibondo. — Non sono di quegli uomini che assassinano, ma ti metterò nell’impossibilità di far male a me, a mia figlia e al mio equipaggio.
— E poi? — chiese sempre ironicamente il naufrago.
— E poi ti farò dare venti colpi col gatto a nove code, onde tu impari a rispettare i tuoi salvatori prima, i tuoi superiori dopo.
— Provatevi!...
— Mi sfidi!...
— Vi sfido!...
— A me, marinai!...
Sette od otto uomini, a quel comando, si precipitarono sull’audace furfante, riducendolo all’impotenza.
In quel medesimo momento apparve sul ponte miss Anna.
— Padre mio!... — esclamò correndo incontro al capitano che teneva in pugno una pistola, pronto a scaricarla contro i camerati di Bill. — Gran Dio!... Cosa succede?...
— Ritirati, Anna, — rispose Hill. — Sono cose che non ti riguardano.
— Ma perchè quell’uomo sul ponte?
— È un miserabile che sta per venire punito.
— Che!... Bill punito!... Lui che ci ha salvati dagli antropofagi?