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140 capitolo decimoquinto.


— Ah!... Avete forse dei conti da saldare con quelle autorità?...

Bill impallidì e fece un gesto minaccioso, mentre i suoi compagni lanciavano sul pilota de’ torvi sguardi, nei quali si leggeva una cupa minaccia.

— Basta — disse Bill con voce rauca. — Ne abbiamo abbastanza dei vostri sospetti, signor pilota della Nuova Georgia! Quanto prima, noi vi faremo sapere chi siamo.

— È una minaccia?

— Credetela come vi piace, a me non importa.

— Domani riferirò ogni cosa al capitano Hill.

— Fatelo pure.

— Ve lo prometto, Bill. Ora lasciate questo luogo e tornate nelle vostre brande, o faccio accorrere i marinai e vi caccio in una cabina ben chiusa. —

I naufraghi s’allontanarono senza rispondere e si ritirarono nella camera comune, affettando la massima calma.

Asthor li seguì con lo sguardo; poi crollando il capo mormorò:

— Mi auguro d’ingannarmi, ma quegli uomini ci porteranno sventura.

Visitò accuratamente le gabbie delle tigri, diffidando ormai di tutto; si assicurò che i naufraghi si fossero ritirati nelle brande, poi risalì in coperta molto pensieroso ed inquieto.

Prima dell’alba Bill era già sul ponte. Egli passò dinanzi ad Asthor a fronte alta, lanciando su di lui uno sguardo canzonatorio, mentre i suoi compagni si sdraiavano oziosi sul castello di prua, guardando tranquillamente le manovre dei marinai americani. Gli passò accanto tre volte, quasi cercasse un pretesto per essere interrogato sulla misteriosa adunanza della notte; poi andò a sedersi sulla murata di babordo osservando con profonda atten-