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la grande marea. 133


Il vascello fuggiva colla velocità di una rondine marina, e in breve fu tanto lontano da togliere a quei brutti abitanti dell’arcipelago figiano ogni speranza di poterlo raggiungere.

Quando il capitano Hill non li vide più, mandò un sospiro di sollievo.

— Andiamo dritti in Australia, padre mio? — chiese Anna.

— Dritti senza fermarci, poichè non vedo il momento di sbarazzarmi di due carichi pericolosi.

— Di quali intendi parlare?

— Delle tigri e dei naufraghi.

— Te la prendi sempre con quei disgraziati.

— Ti ho detto che ho i miei motivi.

— Se ti danno fastidio, perchè non gli sbarchi in qualche isola?

— Se posso lo farò.

— Ne abbiamo qualcuna nelle vicinanze, dove essi non possano correre pericoli?

— Dinanzi a noi abbiamo l’arcipelago delle Nuove Ebridi e più al sud-ovest la Nuova Caledonia, l’uno e l’altra popolati da selvaggi, forse più feroci dei figiani.

— Ma non vi sono isole disabitate?

— Un tempo erano numerose; oggi a poco a poco sono state quasi tutte occupate. La popolazione umana cresce costantemente malgrado i grandi vuoti che fanno le guerre e le epidemie, e verrà un giorno che non vi sarà più posto.

— Cosa dici mai? Vi sono dei continenti che hanno ancora degli spazi immensi poco abitati; l’Africa, l’Australia e le due Americhe.

— È vero, ma fra due secoli non avranno più un territorio deserto o quasi deserto. Gli scienziati hanno studiato, anzi, e più