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132 | capitolo decimoquarto. |
Il capitano Hill, malgrado il suo coraggio, era diventato pure pallido e sentivasi il cuore battere più forte del solito. Una vaga paura cominciava ad invaderlo, e gettava sguardi disperati sulla sua Anna.
— Uno sforzo ancora, ragazzi! — esclamò con voce soffocata.
Asthor e i tre o quattro uomini che stavano ai bracci delle manovre, accorsero in aiuto dei compagni. Quel nuovo rinforzo fu decisivo.
La nave oscillò bruscamente, scivolò sul banco dapprima lenta, poi rapida, e infine galleggiò sul mare, arrestandosi a poche braccia dai due ancorotti.
Un immenso urlo di gioia echeggiò fra l’equipaggio, a cui fecero eco urla di furore e vociferazioni spaventevoli.
I selvaggi vedendo la nave lasciare il banco e comprendendo che l’agognata preda stava per isfuggire, si erano precipitati confusamente nei loro canotti e accorrevano da tutte le parti per dare un disperato assalto.
— All’erta! I selvaggi! — tuonò Asthor che si era slanciato verso poppa.
— Troppo tardi, miei cari! — esclamò il capitano Hill trionfante. — Ai bracci delle manovre, la barra all’orza e si viri di bordo.
Quella manovra fu eseguita con fantastica rapidità, tanta era la paura di venire raggiunti. La Nuova Georgia girò attorno alle scogliere che racchiudevano il banco e uscì in pieno mare a gonfie vele, dirigendosi verso l’ovest.
I lunghi canotti dei figiani non si arrestarono per questo. Passarono quasi volando sopra il banco e continuarono la caccia manovrando furiosamente i remi, ma, come aveva detto bene il capitano, ormai era troppo tardi.