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la grande marea. 131


stiva. Ciò fatto, fece calare in mare una imbarcazione e gettare a poppa due ancorotti, le cui catene vennero fissate all’argano per operare una forte trazione all’indietro; quindi fece spiegare tutte le vele per approfittare del vento, che soffiava leggermente da prua.

Compiute quelle diverse operazioni, il capitano dispose la maggior parte dei suoi uomini, i naufraghi compresi, attorno all’argano a cui erano state già fissate le manovelle.

La marea intanto continuava a montare. Alle undici aveva già coperto quasi tutto il banco e si udivano, sotto l’asta di prua, degli scricchiolìi, segno evidente che il veliero tendeva ad alzarsi. Mezz’ora dopo c’erano due piedi d’acqua sul banco. Era il momento opportuno per tentare un primo sforzo.

— Tutti ai vostri posti! — tuonò il capitano Hill. — La marea sta per toccare la massima piena.

L’equipaggio si curvò sulle aspe, e radunate tutte le forze le spinse innanzi con sovrumana energia. Le catene dei due ancorotti gettati sul banco si tesero bruscamente, ma le punte di ferro tennero saldo.

— Speriamo! — mormorò il capitano. — Forza, amici, forza, o non lasceremo mai più questo banco.

I marinai spingevano con una specie di furore, tendendo i muscoli in tal maniera, che pareva si volessero spezzare. Erano tutti pallidi ed avevano le fronti imperlate d’un freddo sudore; guai se quegli sforzi non riuscivano! Era finita per tutti, anzi peggio che finita, poichè nessuno ignorava che li attendeva lo spiedo di quei feroci mangiatori di carne umana.

La nave scricchiolava sempre sotto quella potente tensione di tante vigorose braccia, ma non accennava a indietreggiare. Pareva che fosse incavigliata a quel dannato banco.