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la grande marea. 129


sua moglie, ed ora sono convinto di aver a bordo non dei disgraziati, ma dei forzati fuggiti dall’isola di Norfolk. Oh!... Guai a loro, però, se oseranno tentare qualche cosa contro di me!

— Cosa mormori, padre mio? — gli chiese Anna, che era allora comparsa sul ponte.

— Nulla, Anna — rispose il capitano forzandosi di sorridere. — Brontolavo contro quei dannati selvaggi che pare vogliano assediarci.

— Bill scatenerà un’altra volta la tigre, e li metterà ancora in fuga, se oseranno ricomparire a bordo della Nuova Georgia.

— Bill!... Bill!... — mormorò l’americano coi denti stretti. — Sì, scatenerà le tigri, Anna.

— Perchè me lo dici con questo tono? — chiese la ragazza. — Si direbbe che quel povero naufrago non ti è simpatico.

— Infatti, Anna, vorrei che non avesse mai posto piede sul mio legno.

— Ma perchè?

— Silenzio, figlia mia; per ora nulla posso dirti.

— E perchè, signore? — chiese una voce.

Il capitano si volse e si trovò dinanzi a Bill, il quale lo guardava con due occhi fiammeggianti, mentre impallidiva a poco a poco.

— Che fai tu qui? — chiese l’americano aggrottando la fronte. — Forse tu mi spiavi?

— No signore — rispose Bill cercando di sembrare tranquillo. — Mi dirigevo da questa parte per meglio osservare le mosse dei selvaggi, e involontariamente ho udito le vostre parole, le quali sono molto amare per me. Avete forse avuto da lamentarvi di questo naufrago, dal giorno in cui lo raccoglieste moribondo sul tempestoso oceano?