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128 | capitolo decimoquarto. |
dovendo colà fermarmi per alcune ore — disse il capitano guardando attentamente il naufrago.
Nell’udire il nome di quell’isola sinistra che serve di prigione ai forzati inglesi, Mac Bjorn trasalì vivamente, e di pallido che era divenne livido.
— No! No! — esclamò. — Quell’isola è un soggiorno troppo brutto, signore. Preferirei sbarcare in un’isola abitata dai selvaggi, piuttosto.
— Allora verrete a Melbourne.
— In mancanza di meglio si vada pure in Australia. Forse colà troverò qualche legno che mi trasporti in patria.
— È molto tempo che non la rivedete?
— Sei anni, signore — rispose il naufrago, mentre una nube gli passava sulla fronte.
— E desiderate ardentemente rivederla. Avete qualcuno laggiù? Forse vostra moglie?
Mac Bjorn guardò il capitano che pareva affettasse la massima calma, e nei suoi occhi guizzò un lampo sanguigno.
— Mia moglie! — esclamò con voce rauca. — Ah! No, signore, è morta da lungo tempo.
— Pover’uomo! — mormorò il capitano con sottile ironia, che aveva compreso fin troppo con quale individuo aveva da fare. — Andate a bere un buon bicchiere di gin, e perdonatemi se involontariamente ho evocato un doloroso ricordo.
Mac Bjorn, che era diventato tutto d’un tratto cupo, e che aveva assunto un’espressione selvaggia, si allontanò senza rispondere, ma camminando come un uomo che si è ubriacato.
— Tuoni e lampi! — mormorò il capitano. — Che razza di naufraghi ho imbarcato io? Quell’uomo deve aver ucciso qualcuno, forse