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la grande marea. 127


tissimi per riuscire? — chiese il capitano a Mac Bjorn che osservava i selvaggi con profonda attenzione.

— No — rispose l’uomo allampanato. — Quei furfanti hanno avuto troppa paura della vostra tigre per ritornare alla carica; ma essi contano su qualche tempesta per mangiarci.

— In qual modo?

— Credono senza dubbio che la vostra nave non possa più lasciare la scogliera, e aspettano che una tempesta la frantumi. Fors’anche temono che voi vogliate sbarcare e si tengono pronti a darvi addosso, onde non possiate raggiungere le fitte foreste dell’interno.

— Fortunatamente noi saremo lontani quando la tempesta che loro attendono scoppierà su queste spiagge. Domani avremo la grande marea, e sono certo che la Nuova Georgia lascerà senza fatica questo banco.

— Lo credo anch’io, signore, poichè ho osservato il banco e mi sono accertato che non ha punte rocciose e che la nave appoggia solamente coll’asta di prua.

— Infatti è vero, Mac Bjorn. Nel caso che la grande marea non bastasse, faremo gettare due ancore a poppa e lavorare l’equipaggio all’argano.

— E quando saremo liberi, dove ci condurrete, signore?

— A Melbourne — rispose il capitano. — È la mia destinazione.

— In Australia! — esclamò il naufrago corrugando la fronte e facendo una smorfia.

— Vi dispiace? — chiese il capitano Hill, che aveva notato quelle gesta di malcontento.

— No, signore — rispose vivamente Mac Bjorn.

— Se però vi rincrescesse, potrei sbarcarvi all’isola di Norfolk