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122 capitolo decimoterzo.


Il naufrago alzò le spalle facendo un gesto sdegnoso, e continuò ad avanzarsi contro la fiera che aveva alzata la testa, mandando sordi brontolii.

— Vattene! — disse Bill, additandole con un gesto energico il boccaporto di maestra.

La tigre rimase immobile fissandolo con due occhi di fuoco. Chiunque altro si sarebbe affrettato a ritirarsi dinanzi a quel contegno ostile, ma Bill invece continuò il suo cammino.

Lo strano uomo pareva trasfigurato. I suoi lineamenti dimostravano in quel punto un’energia suprema e una volontà incrollabile, e dai suoi occhi pareva che schizzassero scintille.

Si fermò a tre passi dalla tigre che continuava a brontolare, e additandole nuovamente il boccaporto, ripetè con una voce che aveva una strana intonazione:

— Vattene!... —

Allora l’equipaggio, che dall’alto dell’alberatura assisteva colla più alta meraviglia a quella scena inattesa, vide la feroce belva indietreggiare lentamente, curvare umile il robusto dorso, abbassare il capo come se non potesse reggere lo sguardo potente, affascinante di quell’uomo, dirigersi verso il boccaporto e scendere nella stiva.

Bill la seguì col braccio sempre teso, discese nel ventre del vascello dietro la fiera, si udì un fragor di ferri agitati e percossi, poi si vide ritornare sul ponte.

— Potete scendere — disse volgendosi verso l’equipaggio ancora stupito. — La tigre è tornata nella sua gabbia.

Poi si recò a poppa, sollevò il boccaporto e chiamò il capitano Hill, che si affrettò a salire in coperta seguìto da Anna.

— E i selvaggi? — chiese con ansia l’americano, vedendo il ponte sgombro.