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118 | capitolo decimosecondo. — l'assalto ec. |
Il capitano Hill, i naufraghi, Asthor ed i marinai lottavano coll’energia della disperazione, sparavano le pistole, menavano le scuri e le sciabole d’arrembaggio; si difendevano coi calci dei fucili e colle pesanti aspe dell’argano, ma era fatica sprecata. Cadevano dieci selvaggi colla testa fracassata, e colle membra tronche od il petto squarciato; ma altri dieci, altri venti, altri cinquanta erano pronti a sostituirli e s’inerpicavano sui fianchi della nave come una legione di demonii, sfidando intrepidamente la morte, decisi a tutto pur di riavere i loro prigionieri e di guadagnarsi l’arrosto di carne umana.
Il capitano Hill, a rischio di ammazzare i propri marinai, aveva fatto volgere il cannoncino e le spingarde verso il ponte onde fulminare gli assalitori lungo i bordi della nave; Asthor aveva fatto spezzare delle casse di bottiglie e disperdere i rottami presso le murate, ma i cannibali salivano sempre a dispetto della mitraglia e si slanciavano in mezzo ai vetri infranti senza badare alle orribili lacerature che si producevano ai piedi.
Ormai la battaglia pareva definitivamente perduta, quando in mezzo alle grida dei vincitori, alle urla dei marinai ed alle detonazioni si udì una voce gridare:
— Tutti sugli alberi!... Capitano Hill, barricatevi nella cabina di miss Anna!... La nave è salva! —
Poi Bill, il capo naufrago dai sinistri disegni si slanciò in mezzo al ponte e sparve nel ventre del vascello, dove in fondo, spaventate da quell’orribile frastuono, mugolavano le tigri.