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106 | capitolo decimoprimo. |
se lo lasciassero in vita, camperebbe ancora un discreto numero d’anni.
— È contento di farsi seppellire?
— Non mi parve sconcertato; anzi, incoraggiava suo figlio che si strappava i capelli per la disperazione.
— Il suo erede?
— Precisamente.
— E perchè quel caro figlio non impedisce il seppellimento?
— Perchè dice che è meglio essere re che figlio di re, e che suo padre ha vissuto fin troppo.
— Che razza di furfanti!
— Costumi da antropofagi, signore, — disse Mac Bjorn, senza manifestare il menomo orrore. — Oh! Ecco che comincia ad albeggiare. —
Infatti verso oriente una luce scialba si vedeva apparire, e gli astri a poco a poco impallidivano. Fra pochi minuti il sole doveva splendere, poichè in quelle latitudini si può dire che non vi è nè tramonto, nè alba. Scomparso il sole, la notte cala bruscamente, e viceversa.
Ad un tratto si udirono echeggiare pel villaggio le conche marine e si videro uscire dalle capanne uomini, donne e ragazzi in gran numero, indossanti gonnellini affatto nuovi, file di denti di pescicani e di pezzi di ossi di balena. Attorno alla capanna reale s’alzarono acute grida, in mezzo alle quali si distinguevano delle urla strazianti.
— Sono le spose del re che piangono, — disse Mac Bjorn. — Quelle brutte streghe si disperano perchè tutte non possono venire sepolte, mentre i nostri compagni fremeranno pensando che dovranno accompagnare nel gran viaggio quell’ubriacone di Vavanuho.
— Speriamo di salvarli, — disse il capitano. — Tenetevi pronti a