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cap. iii. — un abbordaggio notturno 37

due libbre e sulla tolda avevano portato fucili, sciaboloni dalla lama in forma di doccia, come usano le popolazioni del centro di Ceylan, e buon numero di pistole e di tromboni.

Quei marinai erano tutti valorosi che già molte volte si erano misurati contro i guerrieri del marajah di Jafnapatam, per vendicare il fratello del loro signore, e non temevano la morte.

Erano d’altronde tutti giovani gagliardi, scelti con cura fra i partigiani ed i pescatori di perle, i quali sapevano maneggiare con pari abilità i remi e le armi.

— Padrone — disse un di loro, che aveva la cintura riboccante di pistoloni e di pugnali. — Andiamo a dare battaglia ai cingalesi del marajah?

— Sì, amici — rispose il re dei pescatori.

— Li trucideremo tutti.

— Non tutti! Guai chi tocca Mysora! Essa deve cadere nelle mie mani viva ed incolume.

— Tu l’avrai padrone — risposero ad una voce i pescatori.

— Spiegate le vele, alzate le âncore e andiamo ad incontrarla.

Due minuti dopo il Bangalore, con tutte le sue vele sciolte, abbandonava il bacino, volteggiando abilmente fra i banchi e gli scoglietti che si distendevano intorno al gruppo d’isolotti.

Durga, assieme a sei uomini, si era collocato dietro le spingarde, mentre Amali, deposte le pistole e la scimitarra sul banco che gli stava dinanzi, aveva preso la barra del timone.

Il sole era già scomparso da qualche tempo e