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cap. iii. — un abbordaggio notturno | 33 |
perti e abitati da legioni di uccelli marini; isolotti temuti assai dalle navi, perchè nessun faro ne indicava di notte la presenza.
Il mare vi si frangeva con rumore assordante, avvolgendoli in una cintura di spuma candidissima e coprendo, volta a volta, gli scoglietti minori che ne rendevano l’approdo difficilissimo e anche pericoloso.
Il Bangalore, che pescava poco e manovrava abilmente, passò con facilità attraverso i banchi che in quel momento erano coperti da quattro piedi d’acqua, essendo la marea alta, e andò a gettare le sue âncore proprio nel mezzo degli isolotti, i quali lo nascondevano interamente.
Essendo trascorso già il mezzodì, Amali fece dispensare la colazione ai suoi uomini, poi, imbarcatosi con Durga nella piccola scialuppa che era subito stata messa in acqua, si recò a terra, approdando alla base dello scoglio più elevato, dalla cui cima si poteva dominare un vastissimo tratto di mare.
Quella rupe, che si spingeva a duecento piedi sul livello delle acque, era così ripida da sfidare una scimmia, nondimeno Amali, che era più agile d’un leopardo e che aveva muscoli di ferro, ne intraprese l’ascensione senza bisogno che Durga lo aiutasse.
Afferrandosi alle radici e agli sterpi, cercando i crepacci per trovare un punto d’appoggio ai piedi o balzando come un camoscio, in meno di dieci minuti, raggiunse la vetta, spaziando sul mare il suo sguardo d’aquila.