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cap. xxii. — la fuga del marajah | 339 |
mente e cominciano a rinculare, tanto più che qualche palla li colpisce.
Jean Baret li fa disporre su due file, estrae la fiala e la lancetta e li punge rapidamente, poi comanda ai mahuts di ritirarsi.
I colossi continuano a retrocedere dinanzi al fuoco crescente dei candiani e stanno per volgere le spalle e gettarsi fra le due colonne che si accalcano nella via.
Il pericolo è tremendo.
— Sparate dietro a loro e gettate dei tizzoni! — grida Jean Baret.
Due case ardono a breve distanza, un po’ dietro agli elefanti. Cinquanta uomini raccolgono delle travi e delle canne ardenti e le lanciano addosso ai colossi, i quali, sentendosi bruciare le gambe deretane, partono al galoppo, colle proboscidi alzate.
Il misterioso veleno comincia a fare il suo effetto ed eccoli entrare in furore. La fucilata dei candiani non li spaventa più.
Precipitano la corsa, schiacciandosi nella via; urtandosi si rovesciano, bomba devastatrice, sulla barricata, la quale in un momento è sfondata, dispersa, distrutta, e si scagliano nella piazza, cominciando la strage.
I candiani, atterriti da quell’assalto che nessuna forza umana può arrestare, fuggono da tutte le parti, abbandonando anche le altre barricate, le quali vengono tosto occupate dai ribelli.
Jean Baret fa volgere le spingarde, gridando:
— Uccidete gli elefanti! Ai candiani penseremo poi.