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cap. xxii. — la fuga del marajah 335


— Nella pagoda di Budda. Di là potremo uscire inosservati e mescolarci ai ribelli.

— Ed i miei tesori? Dovrò lasciarli cadere nelle mani dei vincitori?

— Sono già stati sepolti fino da stamane nei giardini del palazzo.

— Guai a chi li toccherà!

Scesero in un salone a pianterreno. Il ministro aprì una porta segreta nascosta fra le tappezzerie e guidò il marajah attraverso un corridoio oscuro, illuminando la via con una torcia.

Gli altri ministri ed i cortigiani li avevano seguiti.

Per mezz’ora s’inoltrarono fra gallerie umidissime, poi il ministro fece scattare una molla che si trovava nascosta in una nicchia della parete e i fuggiaschi si trovarono in un tempio la cui porta era rimasta aperta.

Fuori si udivano urla selvagge e spari.

— Dove siamo? — chiese il marajah, che era diventato pallidissimo.

— Presso i bastioni, — rispose il primo ministro.

— Mi riconosceranno i ribelli?

— Siete bene trasfigurato, Altezza.

— Io ho paura che mi uccidano.

— Siamo qui noi per difendervi e poi nessuno farà caso alla vostra uscita. Avanti, Altezza, non è questo il momento di esitare.

Il marajah, che aveva cominciato a tremare, si decise finalmente ad uscire dal tempio.

La via era ingombra di popolani e delle case bruciavano, mentre in alto si udivano sibilare le palle.