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cap. xxii. — la fuga del marajah 333

devono essere sbarcati e so che sono moltissimi, parecchie migliaia.

— Quindi tutto è finito per me, — disse il tiranno, digrignando i denti.

— Vi resta ancora la flotta e avete più di quattromila candiani sparsi pel reame. Con simili forze si può disputare lungamente la vittoria e forse riuscire a domare la rivolta.

— E se resto qui mi prenderanno.

— Io vorrei darvi un consiglio, se me lo permettete.

— Imbecille! È quello che aspetto da te, che sei il mio primo ministro.

— Lasciate questo palazzo, mentre i candiani spazzano le vie dai ribelli che le ingombrano, e fuggite verso la costa.

Il marajah lo guardò cogli occhi iniettati di sangue.

— Per impadronirti tu del potere? — gridò.

— No, altezza, — rispose il ministro, con voce tremante e tenendo gli occhi sulla destra del suo signore che si appoggiava già sull’impugnatura della scimitarra. — No, perchè io vi seguirò nella vostra fuga.

— Sarò in tempo?

— Sì, se vi spoglierete delle vostre vesti, onde non farvi riconoscere.

— E fuggire dove?

— Raggiungere la flotta.

Il marajah si era fermato, colpito da una improvvisa idea.

— Amali ama Mysora! — esclamò.