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CAPITOLO XXII.

La fuga del marajah.

Mentre gl’insorti, ormai vittoriosi dappertutto, non ostante l’accanita resistenza dei candiani rimasti fedeli al tiranno, e padroni quasi dell’intera città, s’incamminavano verso il palazzo reale per espugnarlo, il marajah, pazzo di terrore e di rabbia, dalla cima della sua cupola dorata, guardava l’avvicinarsi di quella folla che doveva travolgerlo.

L’insurrezione era scoppiata così improvvisa, che i suoi cortigiani ed i suoi mercenari non avevano avuto il tempo di prevenirla.

Il popolo, appena avvertito dello sbarco di Amali, pel quale aveva sempre nutrito nascostamente vive e profonde simpatie, prima perchè discendente dell’antica stirpe che aveva dato, duecent’anni prima, tanto splendore e tanta potenza al reame, poi perchè lo aveva conosciuto leale, generoso e cavalleresco, era insorto tutto d’un colpo, proclamando la decadenza del tiranno che da tanto tempo lo teneva sotto un giogo di ferro e di terrore.

Il marajah aveva spedito corrieri in tutte le città del suo territorio per far accorrere i suoi mercenari