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326 sul mare delle perle

lonna e tu della seconda. Affido a te la difesa del futuro marajah di Jafnapatam.

— Questa volta nessuno me lo prenderà, signore — rispose il luogotenente di Amali.

— Avanti! — gridò il francese, con voce tuonante. — Preparate le armi!

Le due colonne si mettono in marcia, seguite da un immenso codazzo di popolani armati di spadoni, di lancie, di mazze, di scuri, di archi, di freccie e anche di semplici bastoni. È una turba disordinata, esaltata, che può servire però per dare l’ultima scossa al trono, ormai vacillante, del marajah.

In tutte le vie si combatte. Jean Baret ode a destra ed a sinistra urla selvaggie, colpi di fuoco e vede alzarsi delle fiamme e dei turbini di fumo. Sono i candiani mercenari che cercano di domare ancora l’insurrezione e che si misurano col popolo. I combattenti, divisi in due colonne, procedono impavidi, colle carabine sotto il braccio, e penetrano in una larga via dove si odono grida, ingiurie, imprecazioni, colpi di spingarda e colpi di fucile.

Dalle finestre e dalle terrazze piovono sassi, mobili, vasi di terra e proiettili d’armi da fuoco.

— Qui abitano i partigiani del marajah, — disse il fratello di Binda, che camminava a fianco di Jean Baret. — Avremo battaglia, vedo in fondo alla via i candiani.

— Chiudete le file! — comanda il francese.

I cingalesi si stringono e affrettano il passo, mentre dall’alto continua a piovere sulle loro teste ogni sorta di lordure e sibilano delle palle.