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cap. xx. — la presa del fortino | 315 |
— Le portano due dei nostri uomini più robusti. Se ci saranno d’impaccio, le abbandoneremo.
— Dopo averle scaricate?
— S’intende.
Raggiunsero lestamente il loro drappello che li attendeva dall’altra parte del fossato. Prima di allontanarsi, Jean Baret guardò verso il capannone e scorse alcune scintille alzarsi.
— Comincia a bruciare, — disse. — Va bene.
Amali ed i suoi avevano già attraversato la spianata, seguiti dal secondo drappello che difendeva Maduri. Fino a quel momento i cingalesi non si erano accorti dell’uscita della guarnigione.
D’altronde l’oscurità era sempre fitta, essendo il cielo ancora ingombro di nuvoloni, i quali, tratto tratto, lasciavano cadere rovesci d’acqua. E poi il vento, torcendo i rami e scuotendo i tronchi, ululando, soffocava ogni rumore.
Un altro uragano, forse più violento del primo, stava per scoppiare. L’atmosfera era già satura di elettricità.
D’improvviso un grido, poi un secondo, quindi un terzo rimbombano sotto gli alberi.
— All’armi!
I cingalesi hanno scorto quelle numerose ombre, che scivolano fra i cespugli, e balzano in piedi afferrando le armi.
La voce di Amali si fa udire, coprendo i clamori degli assedianti.
— Avanti!
I pescatori di perle si precipitano, scaricano le carabine nel folto de’ nemici, poi impugnano le