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cap. xx. — la presa del fortino | 311 |
Amali fece abbassare un pancone di cui si serviva prima la guarnigione e gli fece cenno d’inoltrarsi.
— Che cosa desideri e chi ti manda? — chiese il re dei pescatori di perle, quando gli fu dinanzi.
— Vengo a nome del comandante della banda ad intimarvi la resa, — disse il cingalese.
— E perchè vorresti tu che ci arrendessimo?
— Perchè noi siamo dieci volte più numerosi di voi.
— Chi te lo ha detto?
— Lo abbiamo saputo da alcuni cingalesi che sono sfuggiti al vostro assalto.
— T’inganni, amico! Io ho uomini ad esuberanza e ne aspetto ancora tanti da non poter voi opporre un uomo contro venti.
— E da qual parte devono venire? — chiese il cingalese, con voce ironica.
— Tu sei troppo curioso, — rispose Amali. — Li vedrai quando vi piomberanno addosso e vi spazzeranno via.
— Sta a sapersi se voi allora sarete ancora vivi.
— Assaliteci se l’osate.
— Non c’è bisogno; è la fame che s’incaricherà di vincervi, giacchè noi sappiamo che voi non avete trovato viveri nel fortino.
— Se hai fame possiamo offrirti delle eccellenti gallette come tu non ne hai mangiate in vita tua.
— Serbatele pure per voi, — disse il capo, ridendo. — Vi saranno più utili.
— Giacchè non vuoi fare colazione con noi, torna donde sei venuto.